Abbiamo oppure siamo un corpo?





Il corpo colonizzato

Talvolta può succedere che questa macchina perfetta all'improvviso si ribelli (ad esempio, il corpo si ammala); 
 si disvela così un’altra plausibile prospettiva 
- abbastanza inedita per noi - 
secondo la quale non sarebbe più la mente 
a portare a spasso il corpo per il mondo, 
ma sarebbe proprio il corpo 
a stabilire ciò che la mente possa o non possa fare, 
a fissare i confini e i limiti del nostro osare essere.




I corpi parlano, anzi raccontano

Nel 1958 Alexander Lowen, allievo di Wilhelm Reich, scrisse un libro – The Language of the Body – destinato a influenzare profondamente il pensiero tradizionale secondo cui la persona può trovare il suo punto di massima espressione prevalentemente sul piano verbale.


Gli uomini pensano di risolvere tutto con la mente 
invece di "sentire". 
Ma il sentire non ha a che fare con l’intelligenza o con la forza. Solo lavorando su di sé, sul proprio corpo 
- grazie al quale l’uomo "sente" – 
l’uomo può curarsi e aspirare, come è sacrosanto, 
a una vita sana, libera, felice. 
Ed essere in grado di amare veramente.

Secondo Lowen occorreva invece integrare l'espressione verbale e mentale delle emozioni e dei vissuti della persona con il linguaggio del corpo, cioè con la pratica concreta del movimento. Secondo tale prospettiva, ripresa successivamente da molti altri studiosi e in ambiti diversi (dalle medicine alternative fino ad alcune pratiche sportive, dalla danza/danzaterapia al teatro), i corpi parlano, basta saperli ascoltare.





L’espressione “avere un corpo” riflette una posizione linguistico discorsiva significativamente diversa dall'espressione “essere un corpo”
Antropologi e sociologi ci hanno insegnato che il corpo è un luogo e uno spazio di articolazione del potere. Ogni cultura dispone di elaborate e sofisticate “tecniche del corpo” che regolamentano e disciplinano gli aspetti più svariati del nostro essere-nel-mondo-in-quanto-corpi. 



Ma quali sono le politiche del corpo che informano e sostengono la nostra vita quotidiana? Quali i discorsi egemonici sulla corporeità che ci definiscono? 
Pur nella differenza e complessità dei diversi contesti di riferimento, in gran parte delle culture occidentali sembra prevalere una concezione del corpo che risponde ad una logica in termini di dominio/controllo. 


Potremmo definirla la politica del “corpo colonizzato”

La nostra identità in questo caso coincide con la nostra parte pensante – o meglio con la voce narrante che è la nostra mente – e a partire da questa parte pensante che ci appartiene e narra e interpreta incessantemente il nostro flusso di esperienza, ci relazioniamo con il corpo che abbiamo, che viene interpretato essenzialmente come “mezzo” per conseguire i fini individuati dalla mente



Questa modalità di rapportarsi con il corpo sembra rimandare ad una sorta di processo di colonizzazione: 


il corpo colonizzato è la finzione 
con cui ci illudiamo di mantenere il controllo sulle nostre vite 
e su quelle delle persone che ci circondano.


Ogni tanto tuttavia succede che questa macchina perfetta all'improvviso si inceppi (ad esempio, quando il corpo si ammala) e allora repentinamente si disvela un’altra possibile prospettiva abbastanza inedita per noi, secondo la quale non sarebbe più la parte pensante a portare a passeggio il nostro corpo per il mondo, ma sarebbe solo il corpo a stabilire ciò che la parte pensante possa o non possa fare, a fissare i confini, marcandone i limiti, del nostro poter essere. In altri termini, ogni tanto succede che al posto di disporre del nostro corpo e di piegarlo alla nostra volontà, il nostro corpo sembra improvvisamente “assumere il comando” e dettare legge: un'esperienza davvero rivelatrice!

Marìa Fux danza felice nel suo Studio di Buenos Aires


Tuttavia, sarebbe riduttivo e fuorviante parlare di un’unica concezione del corpo predominante nella tradizione occidentale. Le concezioni di corpo circolanti nella società sono molteplici e molto diverse fra loro.




Ad esempio, le medicine alternative, diffuse ampiamente nei paesi occidentali ci hanno abituato negli ultimi decenni a nuovi tipi di relazione con i nostri corpi, secondo le quali espressioni come “ascoltare il corpo” non ci sembrano più distanti.



Inoltre, a seconda degli attori sociali considerati, la definizione culturale del corpo può variare sensibilmente: per esempio, coloro che praticano sport a livello professionale oppure i danzatori – che si confrontano con i limiti del loro corpo ogni giorno attraverso la pratica continua con cui sviluppano la loro capacità di dare forma al movimento – condividono concezioni del corpo molto diverse rispetto ad altri individui, che svolgono professioni e mestieri dove il corpo è meno in primo piano.


Lili Grinberg e il suo gruppo di danzaterapia del lunedì
www.mariafux.com.ar

Lo stesso si può dire anche rispetto a quegli attori sociali che abbiano sofferto gravi malattie o per quella categoria di anziani che nel corso della vita abbiano saputo comprendere ed incorporare le differenti esperienze del proprio vissuto riuscendo a forgiare per sé stessi un "corpo saggio" che è diventato soggetto ed ha capitalizzato come una vera fortuna l'inevitabilità del tempo-che-passa.



Da questo punto di vista gli individui anziani con un buon livello di accettazione del proprio divenire o le persone con una qualsiasi tipologia di svantaggio si troverebbero in una buona posizione per sviluppare una maggiore consapevolezza corporea.



Per questi ultimi la finzione del corpo colonizzato e del dominio incontrastato della mente è contraddetta costantemente dall'esperienza quotidiana, secondo cui le loro difficoltà li obbligano a confrontarsi continuamente con ciò che il corpo può o non può fare. 
Ciò a parziale riprova del fatto che se stiamo ai margini, negli interstizi rispetto all'egemonia dominante (perché ad esempio alcuni nostri tratti non corrispondono al cosiddetto modello egemone) e se siamo disposti a fare uno sforzo eccezionale nel senso di "rimetterci in gioco", possiamo vedere altro ed elaborare posizioni talora più ricche e interessanti. 



Una persona anziana oppure che è stata gravemente ammalata avrebbe perciò maggiori probabilità di fare esperienza dei limiti della metafora del corpo colonizzato rispetto ad un giovane o a un soggetto che non ha mai avuto particolari difficoltà.



In tale prospettiva un altro tema che inizia a delinearsi negli studi sul corpo concerne la relazione tra corpo e memoria.
La questione è abbastanza centrale: il corpo ricorda oppure il processo del ricordo è legato esclusivamente alla nostra mente?
Molti teorici trascurano questa questione, ritenendo che la memoria sia prevalentemente conscia e che, pertanto, abbia a che fare esclusivamente con le cellule cerebrali.



Eppure, noi facciamo esperienza del fatto che le nostre mani talora ricordano sequenze di movimento che la nostra mente ha dimenticato (ad esempio, riprendendo a suonare il pianoforte dopo molti anni) oppure del fatto che i nostri piedi sanno sciare o sanno stare in equilibrio sulla tavola da surf anche dopo decenni che non pratichiamo più quello sport.

E allora questo corpo ricorda?

E se ciò fosse vero, non dovremmo forse ripensare i discorsi egemonici sul corpo che abbiamo in mente?

[Frammenti di testo tratti da: Tota, A.L., 2011. Il corpo colonizzato?. Roma Tre News, Anno XIII, n. 1, p. 3]






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